RESISTERE PER ROMA 



UOMINI CONTRO CARRI Senza reducismi e senza malinconia
Fernando Togni
 
 
    Ci si avviava alle sei del mattino e la notte schiariva. Allora non c'era l'ora legale. In quell'avamposto si faceva la guardia ininterrottamente per dodici ore. Lo comandava un maresciallo tedesco che disponeva d'una quindicina di uomini. Insieme si trovavano una quindicina di italiani, comandati da un sergente. Si stava in due per buca. 
Dopo i bombardamenti terrestri aerei e navali ai quali eravamo sottoposti di giorno, era molto dura quella guardia: svegli, senza parlare, senza fumare. È la vicenda quotidiana di tutti, in guerra, in prima linea. Ma metteva duramente alla prova la resistenza fisica. Non ci avevano insegnato come si faceva la guerra. Ma stavamo imparando. Solo poco tempo prima eravamo ancora all'università, o in fabbrica, o in negozio, o in ufficio. 
    Avevamo di fronte la maggiore potenza industriale e militare del mondo. Gli avamposti nemici erano sì e no a un chilometro e mezzo o due di fronte a noi; le nostre linee dietro alle spalle, più lontane. Eravamo isolati: con armi automatiche in mano; brandelli di sogni giovanili nel cuore; tristezze d'una patria devastata e invasa, intorno. E si sentiva un esteso sferragliare in lontananza, con rabbioso e intenso cannoneggiare zonale. 
Nessuno te lo dice, ma capisci da solo che è un attacco in forze, e non sai quando e come, ma ti aspetti che tra poco toccherà a te. 
    E infatti, quando ormai è chiaro, ci sei in mezzo. 
    Era il 15 aprile 1944. Avevo vent'anni: ero nell'Agro Pontino a contrastare gli anglo-americani sbarcati a Nettuno il 22 gennaio. 
    Uomini contro carri. Anche quella mattina, come per tutta la campagna d'ltalia (lo dice Eric Morris in "La guerra inutile" - Longanesi 1993) con buona pace del maresciallo Montgomery, abituato a battersi con presuntuosa arroganza sulla sicurezza del dieci contro uno, pagarono un alto prezzo, eccessivo. Ma a loro non importava molto. Eppoi, le classifiche sono sempre ingenerose e, in prospettiva, ridiscutibili o inutili. 
    Uomini contro carri. Non ce l'abbiamo fatta. Fui catturato così. È capitato a molti altri e, soprattutto, molti hanno lasciato la vita. 
    Non lo sapevo, ma in quel giorno, a Firenze, avrebbero ucciso Giovanni Gentile. 
    Dopo Aversa, Biserta e Orano, sono finito con gli altri negli Stati Uniti, a Hereford. 
    Sono qui a ricordarlo cinquanta anni dopo. 
    Nessun reducismo, né malinconia. Una vicenda qualunque nel mezzo di tante vicende qualsiasi. Ma vicende vissute da esseri umani: non di una parte o della parte avversa. Gli anniversari non dicono più niente, nemmeno i compleanni; ricordarli rivela - si dice - atteggiamenti datati, obsoleti, patetici. 
    Così l'anniversario di questo mezzo secolo - nel secolo della relatività - non mi turba più di tanto. 
    Mi domando, piuttosto, qual è il contenuto di tale ricordo, poiché questo considero ancora importante. Importante non per rendermi conto della vita vissuta, ma per dar senso a quella che vivo tuttora, e motivazioni al futuro. 
    Né scetticismo, né pessimismo. Invece, continuo senso del presente. Vale sempre la pena. Come nelle fusioni le bave si asportano, le scorie si disperdono e la statua vien fuori pura come l'artista l'ha concepita, così tra commemorazioni più o meno forzate e vuote, tra alluvioni di chiacchiere che continueremo a sentire, restano in eredità e durano tutte le oneste esperienze individuali; sono esse il filo che cuce o ricuce l'abito. Anche il costume di Arlecchino - che nella tradizione è un abito povero - un abito comunque è; e rappresenta l'affermazione d'una fede nella gioia di vivere. Cinquant'anni di cose viste. Di tutti i colori. 
In fondo, niente di nuovo, nel male e nel bene. La serenità di non giudicare: tanto, la vita ne ha per tutti. 
    La consapevolezza, modesta, di essere quello che sei. Continuando a coltivare dirittura e tenacia, accettando pure che la realtà possa avere aspetti incomprensibili. Però non desistere dal tentare; cercare sempre, soprattutto l'essere umano. 
    Cinquant'anni dopo: un ricordo in umiltà, solo come testimonianza e proposta.
 
 
VOLONTA’ N. 6-7 Giugno-Luglio 1994 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

DOMUS